Quando le prime luci del giorno baciano la parete orientale del Sass Maòr le sue rocce si colorano di giallo, arancio, rosso, tutta quella gamma di toni caldi che ne addolciscono l'imponenza, quasi a volergli davvero, come suggeriva Samuele Scalet, regalare "un'anima". Mentre ci dirigiamo verso la Banca Orba ho un dejavù: poso i piedi sulle stesse rocce, ritrovo le stesse prospettive, le stesse emozioni.Quando salimmo la bella diagonale Solleder, raggiungendo velocemente il centro della parete rimasi affascinata dalla sua verticalità e da quella linea, frutto dall'intuito della fortissima cordata Solleder-Kummer, così aerea, piacevole e godibile.Poco o nulla di più sapevo del ciclope Maòr, quando passando vicino all'attacco della via dedicata a Giancarlo Biasin, Luca puntò il dito in alto indicandomi quel percorso su cui avrebbe voluto cimentarsi.Sono passati tre anni, ma quando ci troviamo a legarci nello stesso punto, scopriamo che le paure e le preoccupazioni non si sono affievolite, com'è ancora forte il desiderio di scoprire passo dopo passo l'avventura di questo "gioco verticale". Non siamo cambiati nemmeno noi, che con il nostro essere qui insieme rimaniamo la più solida delle certezze.

Come da consuetudine scatto la foto per segnare l'ora della partenza: 7.03. I primi tiri non vanno via veloci come speravamo, la giusta direttiva non è facile da trovare e la corda fa avanti e indietro più volte. Quando iniziano i gialli guardo in giù, so che da qui non si torna indietro, ma questa volta non mi lascio tentare da ansie.Il gran diedro non ci da tregua, l'arrampicata è stupenda ma altrettanto atletica e faticosa. Arrivati in sosta uno sguardo va al primo bivacco degli apritori, l'unico comodo che questa parete gli ha concesso.Luca procede con ineccepibile sicurezza e sul traverso successivo non manca di aggiungere una protezione per evitarmi scene da panico già sperimentate in altre occasioni. Poi finalmente arriviamo su quella stupenda roccia grigio/nera piena di buchi, abrasiva e solidissima che ci è sempre tanto cara.Metro dopo metro, quel distanziarsi per mettersi alla prova e poi riavvicinarsi è una conquista, fra alcuni bei movimenti e tratti in cui, facilitata dai cordini che con amore mi vengono lasciati, non devo nemmeno scomodare la staffa.

Arrivati alla sosta sotto la celeberrima pancia nera Luca sorride, sentendosi già oltre l'ultima difficoltà. Io invece mi sento come se qualsiasi piccolo movimento potesse farmi inspiegabilmente precipitare, rimango immobile ed attendo con pazienza il mio turno.Superati questi quindici metri la parete si appoggia di colpo, sorrido e confesso a Luca di sentirmi quasi a disagio su queste facili roccette, tanto è stato il vuoto sotto di noi oggi.La storia dell'apertura di questo capolavoro mi ha toccato. La "lotta" di Samuele Scalet e Giancarlo Biasin su questi muri verticali, la felicità della vittoria seguita dalla tragica morte di Giancarlo e dall'abbandono di Samuele dell'alpinismo, dopo la realizzazione di questo ardito itinerario.

Era agosto del 1964, ben trent'anni dopo l'ultima celeberrima via aperta dalla cordata Castiglioni-Detassis sullo spigolo Sud-Est. Da allora su quella parete tornarono solo Bettega-Gilli-Gorza nel 1955 per "raddrizzare" la Solleder-Kummer (1926).
Scalet e Biasin impiegarono tre giorni per raggiungere la vetta, di cui un intero pomeriggio solo per attrezzare il diedro giallo strapiombante della ottava lunghezza.
Ed è proprio questo il tratto chiave, ovvero la lunghezza tramite la quale successivamente, con un'aerea traversata a sinistra si raggiunge la splendida roccia nera della sezione superiore. Su queste ultime lunghezze l'itinerario esprime tutto il suo carattere moderno, con un'arrampicata libera su roccia stupenda e difficoltà continue, sino alla nota pancia nera, superata dai due tramite l'utilizzo dei chiodi a pressione.
Scalet tempo dopo confessò di non aver utilizzato 200 chiodi come dichiarato all' epoca dell'apertura, ma solo 30, una dimostrazione di quanto questa ascensione avesse anticipato i tempi, proponendo, in un momento di uso ed abuso dell'artificiale un'arrampicata in cui il chiodo a pressione fu utilizzato con criterio e parsimonia.
La ripetizione totalmente in libera con difficoltà sino al IX- effettuata da Manolo nel 1979 ha conferito un'ulteriore valore a questa scalata. La prima invernale invece, datata 1980 rimane del fortissimo Renato Casarotto.
Dopo la tragica morte in discesa dell'amico Giancarlo, Samuele Scalet abbandonò totalmente l'alpinismo dedicandosi per trent'anni al wind-surf, altra sua grande passione.
Lungi dal dimenticare la parete est del Maòr vi tornò nel 2001 per tracciare Masada, insieme a Davide Depaoli ed il nipote Marco Canteri, un'itinerario grandioso ed esposto, aperto come indicato da Riccardo Scarian - che ha liberato la lunghezza chiave gradata 8b nel 2009 - "con parsimoniosi eretici spit", che non hanno privato l'ascensione di un certo impegno e del suo carattere alpinistico.
Ancora di Samuele Scalet insieme a Gianni Fellin è la via Onyx, tracciata nel 2002, un'altra scalata realizzata con l'utilizzo di alcuni spit di passaggio e di difficoltà sino al VII+.
Dopo questo grande ritorno all'alpinismo ed una lunga malattia che non gli ha lasciato scampo Samuele Scalet ci lascierà nel 2010.

Sulla Sud-Est del Sass Maòr con Giancarlo Biasin

di Samuele Scalet

tratto da "ALP - Grandi Montagne" n° 221 del marzo-aprile 2004testimonianza  raccolta da Vinicio Stefanello Arrivati al punto raggiunto nel ’61 chiesi a Giancarlo “Chi va avanti?” per saggiare le intenzioni. Per motivi diversi non ne avevamo parlato, ma ora si doveva prendere una decisione. Eravamo in un punto con una esposizione da brivido, l’unico punto con la roccia friabile. Mi guardò e sorrise. “Non ho mai fatto una via così … e poi ho promesso a Egidia che non sarei andato avanti…”. “Questa via è tua perché è una vita che ci pensi”. “Oggi è la prima volta che vado da secondo”. Non mi aspettavo una disponibilità così netta e gli espressi tutta la mia gratitudine. Poi ci calammo nel ruolo fantastico di quelli che vanno alla ricerca dei passaggi migliori fra strapiombi e placche compatte e verticali.Nella nicchia sul bordo destro del diedro preparammo il primo bivacco. Parlammo del diedro di oggi, delle placche di domani e di settembre quando si sarebbe sposato con Egidia. Non avevo mai fatto un bivacco in un posto simile. Mentre osservavo le luci nella valle, Giancarlo continuava a sgranocchiare, poi regolò la sveglietta da polso e mi diede la buona notte. In pochi istanti lo seguii anche se mi ero proposto di ricercare le poche stelle che conosco, ma lo stellato era così fitto che disorientava. Cercai una posizione comoda e mi misi in viaggio. Mi svegliai improvvisamente all’alba quando l’orizzonte orientale cominciava a colorarsi rosso fuoco. La debole luce che emanava, creava con le rocce gialle e grigie un paesaggio irreale. Chiamai Giancarlo e continuammo ad ammirare in silenzio. Una splendida giornata ci attendeva e un istante dopo eravamo appesi ad una magnifica clessidra 100 metri più in alto, in un mare di placche verticali che sparivano vertiginose nel buio sotto di noi, tutti due dentro l’amaca di Giancarlo. Ero più stanco della sera prima e mi addormentai subito. Mi persi l’alba perché mi svegliai alle sette. Nel primo pomeriggio arrivammo all’inizio del liscio finale. “Che si fa?” commentò Giancarlo. “Qui non si passa” replicai. “A meno che…”. “Li hai portati?”. “Ci sono, ci sono”. “Magnifico! Sarebbe folle scendere da qui”. “Fai attenzione che non ti cadano”. Estrassi con cautela il punteruolo e cominciai a fare un minuscolo buchetto nella solida dolomia. “È un peccato”. “Non preoccuparti, Sam; la via è bella anche con qualche buchetto; tranquillo!”In vetta ci abbracciammo. Ma non ero così felice come mi sarei aspettato perché l’avventura tanto sognata era già alle spalle. La parte bella di un’avventura di solito è viverla e non ricordarla. Cominciammo a scendere. Non sapevo che quella vera stava per cominciare e sarebbe stato meglio non viverla.

Sotto - da sinistra - due foto d'epoca ritraggono Giancarlo Biasin e Samuele Scalet 

Note sulla via Scalet-Biasin

difficoltà - VI+, A0, A1 (max IX-)sviluppo - 600 mttempo - 8-9h per la viafino in cima

partenza - Malga Zivertaghequota max - Sass Maòr, 2.814 mtappoggio - rifugio del Velo

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sul Sass Maòrper approfondire vedi l'articolo di F. Lamo

SASS MAÒR, LA SUPERMATITA DELLE DOLOMITI

su Giancarlo Biasinil racconto dell'esperienza di A. Castagna

Sugli ultimi passi di Giancarlo Biasin